La terapia invasiva con impiego degli inibitori GPIIb/IIIA ed impianto di stent migliora la sopravvivenza nelle sindromi coronariche acute


Nel 2002 le linee guida dell’American College of Cardiology / American Heart Association raccomandavano la terapia invasiva nei pazienti con angina instabile / infarto miocardico senza sopraslivellamento ST ( UA/NSTEMI ) ad alto rischio.

Tuttavia non è noto se la terapia invasiva sia in grado di aumentare la sopravvivenza.

E’ stata compiuta una meta-analisi di 5 studi clinici che ha riguardato 6.766 pazienti con angina instabile / infarto miocardico senza sopraslivellamento ST

Questi pazienti erano stati assegnati in modo random a terapia invasiva o a terapia conservativa.
L’approccio invasivo ha ridotto la mortalità a 6 – 12 mesi del 20% ( risk ratio, RR: 0,80 ) e del 23% a 24 mesi ( RR: 0,77 ) rispetto alla terapia conservativa.

L’end point composito ( morte, infarto miocardico ) è risultato ridotto per tutto il periodo del follow-up: a 30 giorni ( RR: 0,61 ), a 6 mesi ( RR: 0,75 ), a 12 mesi ( RR: 0,74 ).

I maggiori benefici della terapia invasiva sono stati ottenuti dai pazienti maschi ( RR: 0,69 ).
Non sono emersi invece chiari benefici per i pazienti di sesso femminile ( RR: 1,07 ).

I risultati della meta–analisi indicano che la terapia invasiva assieme all’impiego degli inibitori della glicoproteina IIb / IIIa e dell’impianto di stent è in grado di migliorare la sopravvivenza nei pazienti con angina instabile / infarto miocardio senza sopraslivellamento ST.

Dallo studio è anche emersa la necessità di una stratificazione del rischio per le donne e per i pazienti negativi alla troponina. ( Xagena2004 )


Bavry A et al, Am J Cardiol 2004; 93: 830 – 835


Cardio2004


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